mercoledì 8 febbraio 2012

IL QUARTIERE ZEN PALERMO

PALERMO : Quartiere Zen: un mondo a parte Paradigma della periferia isolata e lontana, lo Zen, rispetto a Palermo, è un altro mondo, separato e chiuso in sé stesso, prossimo eppure lontanissimo.
La logica della separazione si riflette anche all’interno del quartiere, distinto in due aree – lo Zen 1 e lo Zen 2 – dalla struttura urbanistica e sociale piuttosto diversa.
Nel mezzo si colloca la parrocchia di San Filippo Neri, metafora di un lavoro di ricucitura svolto dalla Chiesa, coralmente riconosciuto dal tentativo, solo parzialmente riuscito, di rinominare con lo stesso nome il quartiere.
Lo Zen, mai completato nella fase di urbanizzazione primaria e secondaria, soffre ancora oggi della mancanza dei servizi essenziali e la latitanza istituzionale ha lasciato un vuoto subito riempito dalla mafia che, sul bisogno, si è radicata e prospera.
Discarica per popolazioni espulse dal centro e abusive, scatola che si è vuotata e riempita di continuo, allo Zen la stabilizzazione della popolazione è avvenuta tardi e molto lentamente. Il risultato: una periferia multiproblematica che ha acuito ulteriormente i problemi di una città già problematica.
I media, costruendo un pesante stigma, acuiscono una situazione sociale fortemente degradata: dispersione scolastica, bassa scolarizzazione, marginalità occupazionale, precarietà economica, presenza mafiosa che lo
utilizza come magazzino o nascondiglio, dipendenza da elargizioni pubbliche o private.
Nascere allo Zen significa trovarsi in una specie di trappola dalla quale è quasi impossibile uscire.
Il percorso scolastico, anche quando c’è, è di qualità scadente. L’accesso almercato del lavoro è quasi impossibile. Con un lavoro in nero e senza risorse finanziarie o
immobiliari, anche chi vuole andare via sa di non poterlo fare, così ci si adatta a stare nel quartiere, finendo per riprodurre il solito canovaccio.

La vita di intere famiglie viene a strutturarsi attorno a meccanismi che sono insieme di esclusione dal mondo e, contemporaneamente, di integrazione ai codici del locale.
L’alternativa è quella di non vedere, rifugiandosi in una casa tenuta religiosamente pulita e tecnologicamente aggiornata. L’auto-organizzazione dello Zen non viene toccata fin tanto che non dà fastidio al resto della città.

La lontananza delle istituzioni si traduce in una sfiducia radicale. Il quartiere sa di essere utilizzato come bacino di voti. La polizia è vista come un’agenzia di repressione
ingiusta.
Il sistema informale e illegale garantisce almeno un ordine e una sopravvivenza che lo stato invece non è in grado di offrire. Nel passato non sono mancate le attenzioni dalla Chiesa, dalle istituzioni, da mobilitazioni popolari.

Di quella stagione oggi rimane ben poco. La speranza di modificare la situazione viene meno, gli operatori migliori del pubblico e del privato sociale se ne vanno, rimane solo qualche sacca di resistenza e di testimonianza che lavora in modo sostanzialmente isolato, privo di collegamenti sul territorio. Quel poco che rimane in piedi si frammenta e si disperde.

E lo Zen ha di nuovo la sensazione di ritrovarsi da solo a gestire i suoi problemi.